mercoledì 26 marzo 2014

la cucina dei sogni oppure: "quando muori diventi una rapa" (cit. Ettore Brancé)

Nessun aggeggio tipo Dolce Forno, tranquilli.


Piuttosto una cucina inquietante che emerge dall'arte di Marina Abramović e al suo lavoro 

The Kitchen: Homage to Saint Therese serie di ritratti fotografici che abbiamo incontrato ieri. Dividendosi in coppie abbiamo osservato sulle immagini, cercando di scrivere delle didascalie. Partendo da fotografie come questa:



è venuto fuori un lavoro che può essere letto come un corpo unico. Provvisoriamente lo intitoliamo 
Didascalie per cucina ed eccolo qua (leggetelo omettendo i vostri nomi):


Sarii
La crocifissa nell’altare della cucina con le pentole adoranti mute e in fila, illuminate dalla grigia luce divina

Jacopo
L’ordine ti porta al caos, niente è mai come sembra, può succedere di tutto, anche le cose ordinarie possono sfociare in follia

Edoardo
Trattenere un ricordo dopo la morte

Melissa
Non riesco ad abbandonare i ricordi e i pensieri della persona venuta a mancare, tutte queste cose partono dalla testa

Ettore
La nonna non è ancora arrivata e io non voglio fare la torta / cartavetrata

Sabrina
Ho versato lo zucchero e per non farlo notare l’ho messo in mezzo a due ciotole in modo artistico

Denise
Morte nella vecchia cucina / fuochi fatui

Simone
Laboratorio

Gabriele
La cucina è un posto fra vita e morte/
La donna con mezza faccia nera e mezza umana

Brenda
Loro sono dentro di me
Sono fra di loro

*******


Bello, vero? Dopo siamo entrati in una discussione su
- Fuochi fatui e Jack O' Lantern ovvero: farsi luce con una rapa
- i sogni - a causa di questa poesia di Wislawa Szymborska


NEL SONNO

Ho sognato che cercavo una cosa,
nascosta chissà dove oppure persa
sotto il letto o le scale,
all’indirizzo vecchio.

Rovistavo in armadi, scatole e cassetti,
inutilmente pieni di cose senza senso.

Tiravo fuori dalle mie valigie
gli anni e i viaggi compiuti.

Scuotevo fuori dalle tasche
lettere secche e foglie scritte non a me.

Correvo trafelata
per ansie e stanze 
mie e non mie.

Mi impantanavo in gallerie
di neve e nell’oblio.

Mi ingarbugliavo in cespugli di spine
e congetture.

Spazzavo via l’aria
e l’erba dell’infanzia.

Cercavo di fare in tempo
prima del crepuscolo del secolo trascorso,
dell’ora fatale e del silenzio.

Alla fine ho smesso di sapere
cosa stessi cercando così a lungo.

Al risveglio
ho guardato l’orologio.
Il sogno era durato due minuti e mezzo.

Ecco a che trucchi è costretto il tempo
dacché si imbatte
nelle teste addormentate.


Ascoltando questo:


abbiamo scritto sul sogno. Ecco i primi risultati!

Sarii
la noia come morte,
i sogni come vita.
ma se sogno la morte,
la noia per la vita
dov'è finita?

Gabriele
"Muoviti è suonata, abbiamo il compito". Apro la porta, sono tutti seduti, pronti per iniziare: "Mettetevi seduti che iniziamo" . Prendo il foglio pieno di formule scritte col lapis, poi sento:"Fatemi controllare i fogli". Panico, non ho tempo per nasconderlo:"Fammi vedere Signorini". Sgamato, sono finito:"Bene, tutte le formule, mi sa che ci vedremo a settembre" "No prof mi risparmi!" Mi sveglio,era un sogno per fortuna...

Denise
I sogni sono quel mondo fantastico dove puoi far tutto e dove puoi aver tutto.
Dove nessuno può fermarti...
Ti trovi sola in una stanza tutta bianca, non sai cosa fare e neanche dove andare...piangi.
Senti il senso dell'abbandono e del rifiuto.
Non trovi nessuno, vorresti un abbraccio, di quelli che l'amore te lo fa entrare dentro.
Sei ferma, nel mezzo di questa stanza, tutta raggomitolata che piangi.
Non riesci ad accettare questo vuoto che tutto e tutti hanno lasciato dentro di te.
Poi smetti di piangere...perché arriva lei...come un angelo custode...che ti protegge e ti da tutto quell'affetto che ti mancava...e ti senti di nuovo viva.
Le lacrime si bloccano sulle labbra, che adesso sorridono.
Hai ritrovato quello che ti mancava, solo in una persona.
~pain~



mercoledì 19 marzo 2014

Due giornate molto diverse. Ovvero: Materiali sul silenzio e La primavera è arrivata in Piazza Della Resistenza (a bordo vasca)

Venerdì 14 marzo. Possiamo definire il silenzio?

AVVERTENZA: In questo post diversamente dalle altre volte non racconterò cosa abbiamo detto e fatto, ma metterò insieme solo alcuni dei materiali che abbiamo ascoltato e letto, con qualche piccola nota.

Il silenzio quale momento in cui stiamo da soli a pensare e fare, il silenzio come difficoltà nella comunicazione, il silenzio come ultimo approdo delle parole - quando qualcosa diventa inesprimibile il silenzio riesce a dirla. Il silenzio come imperfezione necessaria in tutto ciò che chiamiamo linguaggio. Il silenzio assoluto. Il silenzio interiore. Il silenzio del non capire.

Partiamo da qui. Ascoltiamo Diamanda Galàs, la serpenta, che esegue al piano una poesia di Pasolini - Supplica a mia madre.



La Galàs sbaglia le parole, gli accenti, eppure è proprio questo - l'imperfezione - a rendere questo pezzo unico e a infondergli l'amore disperato (perché vero, intenso, ma anche terribile come un legame che non si riesce a scindere) del poeta per la madre.

Supplica a mia madre

E’ difficile dire con parole di figlio
ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio. 

Tu sei sola al mondo che sa, del mio cuore,
ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore. 

Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere:
è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia.    

Sei insostituibile. Per questo è dannata
alla solitudine la vita che mi hai data.
  
E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame
d’amore, dell’amore di corpi senza anima.
  
Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu
sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù:
  
ho passato l’infanzia schiavo di questo senso
alto, irrimediabile, di un impegno immenso.
  
Era l’unico modo per sentire la vita,
l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita.
   
Sopravviviamo: ed è la confusione
di una vita rinata fuori dalla ragione.
  
Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire.
Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile … 


Pier Paolo Pasolini


Dopo leggiamo da un testo scritto da Simone Weil a sedici anni, Il bello e il bene. Parla della musica:
"la musica sembra la sostanza della nostra anima. Tuttavia, se ci si riflette, la musica appare come un oggetto tanto duro e impenetrabile quanto un tempio. Al contrario del tempio che è là, davanti a noi, nello spazio cosicché possiamo allontanarci o avvicinarci a esso quanto vogliamo, la musica sfugge sempre. E poiché dobbiamo imitarla senza sosta e muoverci con essa, per coglierla, crediamo sia lei a esprimerci e invece siamo noi a imitarla".
Discutiamo su cosa significhi l'imitazione e anche sulle cose perfette - se esistono e se sono umane. 
Ma perché esprime la nostra anima? Di quale anima parliamo? Di uno spirito che ci sopravvive? Di un'idea religiosa? Di un principio fisico che anima il corpo? Del sentimento più profondo dentro di noi?


Forse l'anima è quel luogo dove le memorie e i sogni si accumulano e insieme si dimenticano.
Tomas Tranströmer, poeta svedese Nobel nel 2011. La prima è quella su cui ci fermiamo di più:
I ricordi mi vedono

Devo uscire nel verde gremito
di ricordi, e mi seguono con lo sguardo.

Non si vedono, si fondono totalmente
con lo sfondo, camaleonti perfetti.

Così vicini che li sento respirare
benché il canto degli uccelli sia assordante.




Come è possibile essere visti dai ricordi? Facciamo varie ipotesi.
I ricordi ci giudicano.
I brutti ricordi ci perseguitano e tornano anche se cerchiamo di evitarli.
I ricordi ci determinano.
Sono ovunque nel paesaggio. Ma, aggiungo, sono anche camaleonti. Questo vuol dire che si modificano, non restano sempre uguali a se stessi e forse sono vivi proprio grazie ai mutamenti. La loro voce possiamo sentirla solo noi - è anche lei un silenzio. 
E se fosse, invece, che non siamo affatto al centro di nulla come esseri umani, ma sempre visti e quindi determinati da tutto ciò che esiste insieme a noi?
Allora leggiamo questa poesia che è anche un sogno. Un sogno meraviglioso in cui è l'albero a camminare e non l'uomo. 



L’albero e il cielo

Un albero vaga nella pioggia,
ci passa in fretta davanti nel grigio scrosciante.
Ha un affare da sbrigare. Prende vita dalla pioggia
come un merlo in un frutteto.

Appena smette di piovere l’albero si ferma.
S’intravede dritto e fermo nelle notti chiare,
come noi in attesa dell’istante
in cui i fiocchi di neve si rovesciano nello spazio.


L'ultimo silenzio che ascoltiamo è questa canzone qui, che tutti conoscete:



Stavolta il silenzio è la non comunicazione, l'indifferenza, l'isolamento, il desiderio di raggiungere gli altri e il trovarsi sempre impossibilitati a farlo. 

Abbiamo anche scritto qualcosa e si può leggere qui.

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Martedì 18 marzo. Gita in Piazza D'Armi! Letture e discussioni varie in libertà accanto alla vasca dei pesci.


Lirici greci
apparizione fugace di Emiliano
progetti di reading
Antonella Anedda
Franco Buffoni
torture orribili
Catullo
poesie sboccate
Bob Dylan
andiamo tutti in gita alla montagna dell'orso
Interviste sulla primavera
La superiorità dell'Estathè al limone su quello alla pesca, lo schifo totale dell'Estathè verde
il delfino di verdura nella vasca
i tacchi e l'omologazione
Requiem for a dream vs. Trainspotting
Le droghe e il mito letterario - Heroin di Lou Reed, ma anche Pompeo di Andrea Pazienza...





mercoledì 5 marzo 2014

Guardando (a volte) il cielo. O anche: dalle cucine alle lande

Quest'avventura inizia nella cucina della Casa in Piazzetta per poi involarsi verso luoghi nascosti e incredibili.

Varia umanità al tavolo della cucina: per esempio Henry con capigliatura nera smagliante (o blu, secondo la Brenda), che in seguito ci mostrerà dei vinili metal color rosso fiamma - del resto l'etichetta si chiama Sangue e vomito; qualcuno che mangia biscotti; Pane e la Sara che vanno a comprare il latte - o forse era questo latte
La Brenda racconta una fiaba che ha per protagonista Simo. Dovete sapere, infatti, che sabato sera Simone ha perso la memoria, incantandosi sul rosa magnetico del cappello di una bimbetta. Quindi la Brenda è corsa in soccorso, per ricordargli CHI veramente lui è. Bando alla suspense: figlio rapito di un re - quindi principe - che deve riappropriarsi del suo regno usurpato, con l'aiuto di un giullare sapiente, di cui non vi sveleremo il nome. Il castello ha misteriosamente le sembianze dell'istituto Pacini ...
Gira sul banco un libro del destino  ovvero: Good fairies, bad fairies di Brian Froud. Tuttavia ricordate: sebbene non tutti gli spiriti fatati siano cattivi, non ve ne sono certo di buoni.


Succedono senz'altro moltissime altre cose - che ora come ora volano via dalla mente. 
Guardiamo dei corti animati. Il primo, Alma di Rodrigo Blaas, è assai inquietante:



Poi segue Le silence sous l'écorce di Joanna Lurie, che invece ci smuove tutt'altri sentimenti e commozioni. (Guardate il link: Joanna Lurie fa cose belle):


Ci spostiamo dalla cucina: oggi siamo seduti sul palco, allargato per accoglierci tutti. Pane invece pulirà i vetri - del resto qualcuno deve pur darsi da fare.

Dal posto segreto, iniziamo a parlare dell'amico immaginario - se ne abbiamo uno, come ci parliamo, come si chiama. Ecco cosa viene fuori:
Sabrina parla con un amico immaginario che chiama Karma, che le risponde a suo modo, anche se lei non comprende subito. Da bambina parlava con Atreyu, personaggio de La storia infinita di Michael Ende.
Denise parla con lo spirito del padre e il ricordo e l'immaginazione diventano tutt'uno nella sua figura.
Gabriele esce e va a camminare nei boschi, dove può parlare con se stesso, urlare, trovare risposte.
Brenda e Simo ragionano sul fatto che a volte non c'è un amico immaginario, ma come una voce nella propria testa, che non sembra nostra, sembra arrivare da chissà dove.

Parliamo poi del significato del Fa' ciò che vuoi, impresso sul retro del medaglione AURYN, oggetto simbolo della storia infinita. Cosa significa trovare la nostra vera volontà? Essere liberi e fare ciò che ci sfrulla per la testa sono sempre la stessa cosa?
Poi c'è il problema del volere bene a qualcuno - la frase viene infatti da un motto di Sant'Agostino, che nella sua forma completa dice così: Ama e fai ciò che vuoi. Ma ogni volta che amiamo la nostra libertà deve includere anche la visione e le aspettative dell'altro. O forse è proprio così, divenendo responsabili di qualcuno e qualcosa - di una persona, di un sogno, che si diviene liberi?
Più tardi arriverà Thibault a leggerci una breve riflessione che ha scritto in francese e che, manco a farlo apposta!, è incentrata proprio sulla relazione tra le nostre scelte e gli avvenimenti esterni.
Arrivano anche la Jessica e poi l'Adele.


C'è un momento in cui il cielo è più umano? O la sua è sempre una lontananza disumana?
Gabriele dice che nel giorno, quando ci muoviamo regolarmente, il cielo è più vicino a noi - anche la Jessica è d'accordo.
La Brenda invece dice che il cielo buio assomiglia alle persone.
L'Adele ricorda che da piccoli disegniamo il cielo come una striscia azzurra, compatta e distante dalla terra - il cielo non può essere umano, anche se immaginiamo là gli spiriti dei nostri cari.

Arriva il momento di scrivere: sugli amici immaginari, i dialoghi con noi stessi, il cielo.
Questa è la nostra colonna sonora, una canzone dei Sigur Ròs che si traduce con "Barca a remi".


Gabriele scrive una lista sul suo vagare nei boschi; Sabrina e Denise scrivono sullo spirito con cui dialogano. Jessica scrive sul cielo e Adele ci legge il testo di una canzone delle Cervices. La Brenda scrive un testo su un episodio spiacevole che è accaduto a lei e Simo, quando hanno soccorso un amico in pessime condizioni. 
Simo ci regala questo:



L'Adele e Gabriele mi aiutano con il tè che serviamo in bellissimi barattoli, visto che la lavastoviglie si sta mangiando tutti i bicchieri.
Poi, a causa di qualcosa letto e detto dall'Adele, viene fuori questa poesia qui:

L’ALBERO OCCIDENTALE

Poiché ero l’albero più occidentale del giardino
Per ultimo mi scuotevo di dosso la fredda rugiada.
Nebbia e noia via dai miei rami lentamente strisciavano
E nessuno al mio risveglio applaudiva,
Ché i miei compagni erano da tempo gloriosi nella luce.

Ma la sera su me emigravano gli uccelli
Che l’ombra sgomentava da ogni altro verde asilo;
Lungo e dolce da me s’alzava il canto;
Avidi gli occhi degli uomini mi fissavano, mentre
Ero avvolto dal sole nell’amoroso addio
E brillavo come una torcia sul mondo spento.

Margherita Guidacci

Rimettiamo un po' a posto. Intanto in sala prove si è scatenato l'uragano  a ritmo di voci distorte (Adele e Pane); batteria (Thibault) e oggetti strumentali non meglio identificati.